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Enrico Meneghelli
è entrato subito a piedi uniti e saldi, nel piatto della pittura più
disincantata. E’ stato amore
a prima vista… Subito dopo, la mia passione per la pittura di
Enrico Meneghelli, è diventata anche
maggiore quando ho avuto conoscenza di un curriculum dell’artista davvero
particolare. La sentivo, avvertivo l’esistenza di qualche cosa di diverso
nella pittura, la presenza di una indefinibile
entità intangibile che in quanto tale mi rendeva ‘misteriose’
le opere sotto gli occhi. Come se mi mancava un
tassello…Forse la suggestione della narrazione mi sta portando a scrivere
degli spropositi, ma così è stato. Così è! Sono le emozioni che accompagnano
le belle visioni; le emozioni che sempre provo nella
mia carriera di ‘spettatore selettivo’, desideroso
di farmi affascinare, di farmi coinvolgere. Di ogni artista sono anche
le storie personali che contano e quel qualcosa in più e di diverso che
ognuno ha rispetto a tutti gli altri, che è bene ed utile conoscere per la
migliore comprensione delle opere: il principio, la maturazione e la
motivazione dell’impegno, come vivono le ore o le loro giornate davanti
alla tela, al di là di se stessi, spesso, in magica sospensione. “Amo
ascoltare musica classica, tendenzialmente, mentre dipingo, credo mi dia la
percezione di sentire la mano fluire libera e veloce e, a volte, mi detta
come un ritmo armonico nel dipingere, parlare e pensare…” dice l’artista.Perché nella
pittura, come in ogni espressione d’arte, si può entrare in molti modi.
Nella pittura di Meneghelli, per esempio, si
trovano le porte spalancate se…“La musica e la pittura sono entrate nel mondo
delle mie passioni, mano nella mano, quando ancora quattordicenne, inesperto,
timido, desideroso di imparare e sognatore, vedevo
in loro la possibilità di vincere le mie giovanili paure, le mie incertezze.
La musica ebbe un rapido sopravvento sulla pittura presumo, sia per piacere
che per ovvia capacità di soddisfare labili passioni come la vanità e
l’esibizionismo…”I piano bar ed i locali di
intrattenimento dove suonava, non importa se per sbarcare il lunario o per
attirare su di sé, voglioso, gli occhi incantevoli di sognanti fanciulle
ammirate, come si usava una volta, sono stati la prima palestra, il primo
terreno di confronto di Enrico: “I generi da me preferiti erano vari,
probabilmente a causa della mia innata curiosità per le cose che non sapevo
fare e del mio umore… Generalmente amavo interpretare jazz melodico e caldo,
swing, fox, classici della musica leggera
napoletana e
night…”
E’ poi sopraggiunto il momento della maturazione di una dimensione nuova,
della riflessione che obbediva al bisogno di andare oltre, e la pittura ebbe
il sopravvento sulla musica, dopo più di trent’anni.
E’ vero che ad una certa età (e per chi ha la ventura di poterlo fare) quel
che conta non è esibirsi ma solo quello in cui si crede veramente; nel caso di Enrico, la pittura come desiderio puro ed autentico di
creazione, come aspirazione dell’animo e, quindi, evoluzione ed elevazione
con funzioni salvifiche. Il problema è antico. La ricerca di quel che è vero
e di ciò che è autentico come punto di arrivo di un
percorso artistico, come tale sapienziale: la
pittura, come la poesia e la letteratura, è illuminazione ed estasi,
nutrimento dello spirito, ciò che significa riconoscimento della sacralità
dell’arte, esaltazione della nostra natura, che appaga e dà senso.Deve esserci stato un momento nella sua vita in cui
Enrico si è provato a fissare su una tela alcuni ricordi di momenti musicali,
forse della sua prima giovinezza, ed improvvisamente si è trovato fra le
mani, ‘cocciuto e pertinace autodidatta’,
una quantità di idee musicali, intrise di temi naturali e popolari,
riconducibili alla sfera delle incantate visioni paesaggistiche, tanto per
cominciare, che lo convinsero a provare a ritagliarsi un ruolo nuovo di
arrangiatore, di abile ispirato artigiano assemblatore di motivi contrastanti
da trasferire dalla musica alla pittura: lenti e malinconici, scattanti e
gioiosi, contrappuntati con leggerezza o con
intensità nervosa, anche pungenti emotivamente, ammiccanti, con timbro
mestamente rallentato o protesi in una corsa sfrenata, quasi selvaggia, in un
furioso crescendo che sfumando cede il passo a struggenti motivi, che hanno
finito con l’invogliarlo a seguire il suo sensibilissimo istinto verso la
pittura. Ma il tempo delle esecuzioni musicali non è stato annullato; è
rimasto elemento attivo nelle creazioni pittoriche (le conquiste dello
spirito e dell’intelletto non ammettono marcia indietro!); non frammenti
della memoria ma colorata brillantezza della tela, armonia deputata a sottolineare l’evoluzione di momenti diversi dell’inalienabile
esigenza espressiva. Messa da parte la carriera musicale, Meneghelli
ha cominciato a cimentarsi nella composizione di pitture sinfoniche, quale
strada per uscire dal campo dominato dalle forme classiche della musica,
tuttavia portato a collegare spesso il fatto pittorico a contenuti musicali,
come obbediente all’istinto, ma presto entusiasmato dalla massima libertà
conquistabile rispetto ai consueti modelli formali, da mostrare, da
comunicare a gran voce, da predicare.Il trapasso
dalla musica alla pittura, dall’ascolto alla visione, dall’esecuzione alla
contemplazione, dall’interpretazione alla creazione è avvenuto così, per
evoluzione naturale, senza dialettica, anzi, senza soluzione di continuità.
Liberatorio, sostanzialmente, non traumatico forse proprio perché in tutte le
pitture continua a vivere un motivo musicale, un ricordo come un suggello;
una suggestione manifestano le pitture di temi
appassionati gonfi di enfasi e di pathos, trascinanti, ritmici, sincopati o
capricciosi. Le nuove idee ed i proponimenti certo dapprima esitanti pronti
alla sfida, all’accelerazione per recuperare il tempo perduto, a conquistare
autentici scatenamenti ritmici sulla tela, in luminosi contesti
orchestrali: i canneti come furiose girandole di trombe squillanti, gli
specchi d’acqua come stilemi di tastiera, il clima magico, festoso e sereno;
i paesaggi come virtuosismo del basso prediletto che, col dispiego di
sonagli, batteria, sax, trionfante rielabora con passione il materiale
tematico organizzato in modo rapsodico. E’ vero che un crescendo travolgente
segna le tele di Meneghelli, smaglianti pagine
d’arte, di purissima pittura.Dimostra, in ogni
caso, la pittura di Meneghelli di avere tratto
dalla musica un nutrimento basilare che ha pervaso l’artista insinuandosi
discreto fin nel pennello, conferendo slancio creativo, determinando lo
sviluppo di caratteristiche felici, accrescendo raffinate armonie e sfumate
dissonanze, capaci di ricostituire nella pittura di Enrico
quel clima armonico particolarissimo degli impressionisti francesi.
Osservando i paesaggi, per esempio, sottolinea la
pittura di Meneghelli quante cose nuove possono
dirsi ancora, facendoci scoprire come l’artista entra nella creazione con la
sua storia, anima e favella dei luoghi dell’ispirazione. “E in una storia, se
c’entra come sfondo quella bellezza naturale e prospettica che ne è quasi l’aria ed il colore, ci devono entrare le
persone…” (Ippolito Nievo, Novelliere campagnolo). Veramente, Meneghelli sollecita gli spettatori ad entrare nelle
storie, nelle sue creazioni, alla scoperta di quei tesori che ripropone, arricchiti di quel che c’è di profondo nella
sua memoria! Basta un accento, una pennellata a schiudere lo scrigno delle
meraviglie: cieli risplendenti, spazi avvolgenti come sinfonia, luminosità
melodiosa come canto; poesia, delicata e magica, che più si svela a chi più
sa ascoltarla.Certamente colpisce, oltre la
maestria tecnica, il senso di interiorità che emana
dalle pitture; l’antica forma di passione musicale che nella pittura diventa
sapienza, come comprovato da uno stile compositivo
classico moderno nel quale si affermano essenza e contenuti personali
dell’artista, costruzioni nuove con impronte immediatamente riconducibili a
forme e composizioni della musica: variazioni su un tema, ouvertures,
intermezzi, fughe, capricci, rapsodie, che recuperano alla pittura antichi
contenuti per realizzare nuovi concerti per pennello e colori, carezzevoli,
delicatamente poetici, che fanno di Meneghelli un
protagonista dell’arte contemporanea. Non me ne
voglia l’artista, per queste mie argomentazioni che so inusualmente
elaborate. Gli sono sinceramente grato per l’occasione che, assieme alla sua
pittura, mi regala di dare un modesto impulso
all’approfondimento di un argomento che ho sempre avvertito: l’opportunità di
pervenire alla individuazione della distinzione del senso del messaggio di un
pittore che è anche musicista, attraverso la forma particolare che il
messaggio assume per essere comunicato. Questione che io credo abbia una
funzione di grande importanza nel contesto di una
critica valutativa (pur in presenza di fantasie più o meno appropriate
ricamate intorno alle opere), per l’estimazione e
l’apprezzamento di particolari artisti e per la conoscenza degli svariati
aspetti che l’idea della bellezza ha assunto nelle varie epoche e per
virtù della formazione degli artisti. Questione effettiva e condivisibile o
che esiste solo per me, per mia fissazione, in quanto
riconosco in essa ansie ed aspirazioni solo personali? Aspirazione,
in fondo, a recuperare il fascino peculiare di una pittura che sa essere
anche melodiosa, carezzevole e più ricca di contenuti poetici ed estetici.
Ricchezze che effettivamente esistono, che finiscono con l’avere una indiscutibile utilità per comprendere il processo della
creazione artistica e le circostanze che possono portare all’impreziosimento di un’opera d’arte facendola riconoscere
utile e dolce, cioè meritevole di seria attenzione e premio di per sé
dell’interesse che le dedichiamo. Come la pittura di Meneghelli
nella quale si materializza una purezza assoluta, un armonico equilibrio
funambolico di strutture spaziali, una forma di euritmica
ambiguità sistematica perseguita nella ricerca di una bellezza nella quale
forma e contenuti della pittura devono, più che convergere, fondersi in
effetti di pura variegata musicalità. Lievitando l’artista nell’ispirazione,
il suo non è uno sguardo che si accontenta di vedere ma vuole penetrare,
essere invogliato all’ascolto per meglio prendere possesso delle cose, frutto
di corrispondenze sensuali convergenti, un assiduo vedere ascoltando. Le
pitture diventano allora concertazioni realizzate come orazioni, così fedeli
allo spartito ispiratore da tenere celata deliberatamente l’identità dei
luoghi deputati alla realizzazione, elevati nel
regno alato della pura poesia, trasfigurati da crescendo nella fantasia di
nubi impalpabili dorate. Stacchi meravigliosi suggeriti da visioni
particolari rigenerate dall’emozione dell’ascolto musicale e fraseggi per
ampie campate chiede la natura all’artista; disegno
di voci diverse ben tornito e delineato, squarci brillanti, risonanze crude,
partiture sciolte in maniera semplice, quasi scandita; dolcezza di canto
sulla tela con le ali di spiritualissima preghiera volta a raggiungere
orecchi lontani, a placare i cuori, colmandoli…Mi viene da dire: vi piace Brahms? Se vi piace non può non piacervi la pittura di Enrico Meneghelli… Non è una
provocazione; tante, tutte buone sono le ragioni! E’ da aggiungere che la
pittura di Meneghelli tocca le
tematiche più importanti della nostra epoca e che l’artista rivela una
passione ed una maestria uniche nel coniugare ricerca e bellezza. Tema
principale, infatti, è la natura o meglio la percezione della natura che
dovremmo pretendere e conservare in quanto creature
viventi nel nostro presente e di conseguenza sprona e lusinga la nostra
capacità di comprendere il mondo che ci sta intorno da essere umani,
costruiti tra natura e cultura…, come sempre dovremmo conservarci, ostinati,
inflessibili. Tra gli aspetti più attraenti delle sue pitture vi è la
bellezza degli scenari che costruisce per realizzare un rapporto molto
diretto, di testimonianza, con l’ambiente, non solo descrittivo ma
dimostrativo, per il coinvolgimento pieno dello spettatore ed attrarlo nel contesto come parte essenziale, spogliato dall’insensibile
egocentrismo.
In un libro di interviste ai cardinali di Santa Romana Chiesa (G. De Carli, “Eminenza, mi permette?”, Piemme-Rai-Eri, 2004) il cardinale Tarcisio Bertone ha riassunto in uno slogan l’impegno per una
Chiesa viva, immersa nei drammi contemporanei ed impegnata a mostrare
identità e a far sentire la propria voce: “Il mondo e la storia sono uno
spartito musicale che va eseguito”. Fatte salve le doverose insormontabili
proporzioni, l’analogia torna utile per un confronto che non posso non
riconoscere arrischiato. Uno spartito musicale è anche la natura di Meneghelli, l’artista impegnato a mostrarne l’identità ed
a farne sentire la voce, anzi l’armonia vitale, seducente, concedendoci con
la sua pittura qualcosa di più: non solo riconoscere la natura che ci
accoglie, capire a cosa serve, comprenderne il fine. Se crediamo che la
natura è fatta per vivere, per la nostra salvezza, tutto cambia… tutto
dovrebbe cambiare, certamente!
Dimostra così, Meneghelli, il suo ottimismo: crede
nella capacità degli uomini di comunicare e di orientare se stessi e di relazionarsi tra di loro e con l’ambiente. Per questa sua
fede la sua pittura, come in perenne crescendo, è tesa a penetrare nell’animo
delle cose che l’ispirano, assai più che disperdersi in descrizioni
superficiali; una pittura solenne che ampiamente sa meritarsi sguardi nuovi
ed ascolti appassionati perché custode di piccole ma illuminanti verità
che ci fanno recuperare la meraviglia e la capacità
di emozione e di
stupore.
CATANIA, ottobre 2005
MENEGHELLI
Il percorso pittorico prosegue fra affinità e convergenze scorrendo lungo un asse senza scarti sensibili per testimoniare il muoversi dell’artista incedendo lungo un tempo circolare con balzi in avanti, evoluzione durevole senza ritorni e senza inversione di rotta, in una ricerca formale libera da ogni vincolo. Testimoniano le opere la crescita della tecnica intorno agli incastri delle forme affidati alla potenza del colore e degli assortimenti delle colorazioni predilette e provano la sostanziale indifferenza dell’artista al soggetto. Gli scorci lussureggianti, a volte stereotipati, finiscono per scomparire e diventare forme decantate nell’assoluto che conservano i segni essenziali per farli esistere, che rasentano l’astrazione per fare emergere meglio la pura sonorità del colore che l’artista insegue; allo stesso modo come i corpi femminili offrivano a Matisse l’occasione ideale per le sue creazioni. Per questa ragione può giudicarsi che il soggetto sia del tutto marginale nell’opera: ciò che interessa è la superficie dipinta attraverso la quale l’artista intende realizzare l’armonia tra spazio, forma e colore, in caleidoscopiche molteplicità che non si fermano alla superficie, che riescono a sfiorare le corde della poesia.Emergono dalle pitture i meccanismi compositivi sofisticati con profondità di segni ed anche con straordinarie capacità sceniche che evidenziano la complessità nascosta sotto una suadente piacevolezza: le sfumature della luce, i contrasti fra i colori caldi e freddi che ricreano in dimensioni irreali le improvvise sensazioni tipiche degli scenari silvestri; determinata la volontà di annullare i riferimenti scenografici perché le visioni appaiano luoghi fantastici puramente. Il disinteresse insistito per il soggetto trova fondamento nella riproposizione di variazioni degli stessi temi e conferma il culto esclusivo per la forma che rende l’artista del tutto moderno, particolarmente per la concezione estetica dell’arte per l’arte che è fondamento sempre attuale, come lo fu per i movimenti d’avanguardia, dall’impressionismo all’astrazione.Sebbene le pitture di Meneghelli vivano di una loro propria vita specifica ed autonoma, senza la necessità di trasmettere alcun messaggio, di racchiudere un contenuto, che non siano le pure ragioni dell’arte, non deve sottacersi la valenza simbolica delle creazioni sotto l’accattivante eleganza cromatica e segnica. Non solo il recupero della percezione della dimensione istintiva della natura e del suo tempo quieto nel quale il silenzio è essenzialità ampliata, dove le stagioni sono regolate e assorbite nella continuità vitale del sempre, anche la narrazione dei luoghi emblematici della elementare capacità di sopravvivenza che è nella natura, pressata e minacciata dai centri metropolitani in espansione continuata che le stanno intorno… I non luoghi che sono “l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” (Calvino, Città invisibili).
Catania, aprile 2007 Isidoro Giannetto
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